Za8.

La nave N. 40 era tutta una corda tesa, in punta di piedi, sottovoce. Le finestre scintillano febbrilmente nell’oscuro oceano di strade, e al quarto, al primo, al secondo piano una tenda si muove, un’ombra nera sulla finestra splendente. No, niente. Tanto, là in cortile sono in due, e quando inizia lo faranno sapere…
Le due passate. In cortile, silenzio. Sopra i portoni, mosche bianche intorno ai lampioni: infinite, innumerevoli, cadevano, turbinavano in sciami, cadevano, si bruciavano, cadevano giù.
Sotto, con gli occhiali sulla punta del naso, il cittadino Malafeev filosofeggiava: Continua a leggere

Belomor5.

Sono arrivati a Samara. Le barriere sono state posizionate contro gli slittamenti. Il ponte sulla Volga, la sbarra macchiata dai passeri, il carro coperto di una kolchoziana tedesca. La figlia dello scambista, con una piccola pelliccia rovesciata, agita le mani dietro al treno che passa.
Ad una delle stazioni Musaev e Kurdov vanno con la scorta a prendere l’acqua calda. Il vento piega il filo di vapore che esce dal bollitore.
È cominciato il bosco. Passa un tagliaboschi dai grandi occhi chiari, quasi bianchicci, con un’ascia ficcata nel gambale. Si ferma e, allargando le braccia, lascia che il treno gli passi vicino.

Il bosco è finito. È iniziata la steppa. Continua a leggere

Roz2.

IL RAPPORTO OLFATTIVO E TATTILE DEGLI EBREI COL SANGUE

Tutti i quattrocento rabbini1 giurano che “agli ebreiè vietato assaggiare” non solo il sangue umano, ma anche quello di animali

Ciò è fin troppo chiaro, dato che nella Bibbia è scritto «non assaggiate sangue di nessun genere» e per di più con l’aggiunta a cui tutti dobbiamo prestare attenzione: «in quanto il sangue è anima». «Non assaggiate il sangue, perchè è sacro»: questa è la traduzione. Perciò in nessun tipo di alimento degli ebrei ci può essere traccia di sangue, né umano né di altro genere. È fuori questione. Continua a leggere

Zo6.

Fatto interessante fra ospiti

E’ successo un po’ di tempo fa. A quanto pare, circa otto anni fa. Più o meno. Viveva a Mosca un tal Grigorij Karavaev.
Era un impiegato, un ragioniere. Non proprio giovane, ma amante dei giovani. E da lui, nei fine settimana, si raccoglieva sempre un certo pubblico. Più che altro, come dire, giovani, menti alle prime armi.
Si facevano diverse discussioni, varie polemiche, e così via. Continua a leggere

Cve3.

Nobiltà del cuore – dell’organo. Insolita diffidenza. È sempre il primo a suonare l’allarme. Potrei dire: Non l’amore provoca in me il batticuore, ma il batticuore – l’amore.

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L’anima, precisa la sento nel mezzo del mio petto. Lei è ovale come un uovo, e quando io sospiro, lei respira.

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Nataša Rostova25, Lise (dei Fratelli Karamazov), Sofja (Alessandro I di Merežkovskij) – tutte loro sono adolescenti della stessa natura, opposta alla ragazza di Turgenev,

La fine di Nataša Rostova è un vile miracolo. Nataša Rostova prima del matrimonio e Nataša Rostova dopo il matrimonio sono due creature tanto ostili quanto la prima Nataša e la principessa Mar’ja.26

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Za7.

Pëtr Petrovič Mamaj mangiava la zuppa. O meglio, gliela faceva mangiare sua moglie con la massima severità. Troneggiando sulla poltrona, maestosa, benevola, giunonica, simile a Buddha, faceva mangiare a quell’ometto insignificante la zuppa fatta con le sue mani.
«Più svelto Peten’ka, la zuppa si fredda. Te l’ho detto tante volte, non mi piace che si mangi leggendo un libro»
«Certo Alen’ka, subito, io... io… Ma la sesta edizione! Ci pensi, la sesta edizione di Dushen’ka di Bogdanovič! Nel ´12, quando c’erano i francesi, era andato tutto bruciato e si pensava che se ne fossero salvati solo tre esemplari. E invece ecco il quarto, ci pensi? L’ho trovato ieri, sullo Zagorodnyj... »
Il Mamaj del 1917 conquistava libri. Ragazzino di dieci anni coi cappelli arruffati, studiava dottrina, gioiva per le penne e mangiava quello che gli dava la mamma; ragazzino di quarant’anni, pelato, lavorava in una compagnia assicurativa, gioiva per i libri e mangiava quello che gli dava la moglie.
Un cucchiaio di zuppa, sacrificio a Buddha, e di nuovo il terreno omuncolo invano dimenticò la provvidenza con la fede al dito e, tastandola, accarezzò con tenerezza ogni lettera. “Conforme alla prima edizione… Con l’approvazione del Comitato di Censura”… Oh, quant’è bella, quant’è toccante la M con tre gambette grassottelle…
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Zo5.

Incidente nuziale

Volod’ka Zabituškin aveva avuto un po’ fretta. L’aveva combinata bella.
Come dire, Volod’ka non aveva guardato bene la sua fidanzata. A dirla tutta, non l’aveva proprio mai vista senza cappello e paltò, perché tutti i loro incontri si erano svolti per strada.
E anche se prima delle nozze Volod’ka Zabituškin era andato con la fidanzata a presentarsi dalla sua vecchia, comunque l’aveva fatto senza togliersi il cappotto, in anticamera. Come dire, di corsa.
Volod’ka Zabituškin aveva conosciuto la sua fidanzata in tram, un cinque giorni prima del matrimonio.
Stava seduto sul tram e di colpo vide profilarsi davanti a lui cotanta signorina. Non era niente male, carina. Indossava un paltò invernale.
E così stava lì davanti a Volod’ka questa signorina nel suo paltò invernale e si reggeva all’anello del tram per evitare che gli altri passeggeri la facessero cadere. Continua a leggere

Roz1.

I miei articoli dal titolo “La crittografia giudaica”, pubblicati alla fine del 1911, non furono terminati, come notarono la stampa e la società del tempo.
È stato penoso per me che la gente si sia agitata a proposito di questo argomento e che gli articoli abbiano provocato l’irritazione di alcuni (tra di noi) e il tormento di altri (tra di loro)… Ma gli eventi si sono succeduti impetuosamente… il dolore è giunto da un’altra parte ed in contorni talmente terribili che tutti sono trasaliti.
La Russia ha cominciato a tremare, sembra, e anche l’Europa… L’urlo di dolore di Andrej Jušinskij arriva fino al cielo. Quando la società e novantanove su cento delle cose stampate si sono scagliate contro se stesse e contro i propri amici, — per quale motivo non permettiamo agli ebrei di fare con noi quello che vogliono? — L’anima tormentata dello scrittore vuole gridare. Continua a leggere

Belomor4.

DETENUTI

Convogli in marcia

Lungo la vecchia strada di Murmansk, con quel suo profilo brutto e aspro che in seguito avrebbe subito tanti mutamenti, con le sue curve brusche e i suoi pendii, con i suoi malinconici stornelli di ruote, come non se ne sentono per le strade regolari, lungo questa strada passano i convogli.
Nel vagone ci sono le donne deportate al nord. Nel vagone esse provano le loro ultime impressioni “libere”. Ancora regolano i conti, ricordano le bisbocce, i precedenti penali, i furti; ricordano i giovanotti biondi con la scriminatura laterale. In un angolo balena chissà che “Grand Hotel”, un uomo di nome Kolja, il topo d’appartamento Griša, soprannominato “Scarabeo”. Le monache si scambiano bisbigli riguardo alla cupola della chiesa che stava giusto per venire restaurata da un momento all’altro, ma il potere sovietico non aveva lasciato che il miracolo si realizzasse e quello si era inceppato a metà. Una ragazza di un’organizzazione controrivoluzionaria fuma e cerca di leggere, ma la “Murmanka” sballotta i vagoni e confonde le righe. Fuori dal finestrino galleggia la nebbia che sale dal Mar Bianco, mulina il vento, si stringono le nuvole come banchi di ghiaccio.
I convogli si radunano come mandrie: presso Medgora, e poi più avanti, verso Tunguda. Da sud spingono quelli degli istituti correzionali, da nord, dai Komi, gli abitanti di Solovkì, che rendono abitabile il nord, che già sanno come sistemare la catasta, la grande banchina di legno dove dispongono il legname, tagliato per la fluitazione.
La cosa più dura di tutte è venire dal sud. Partenza dopo partenza, stazione dopo stazione, quale ignoto si leva di fronte a te, che terre sconosciute, che cielo color bottiglia! Continua a leggere

Za6.

MAMAJ

Di sera e di notte non ci sono più case a Pietroburgo: ci sono navi di pietra a sei piani. Una nave, solitario mondo a sei piani, avanza veloce sulle onde di pietra in mezzo ad altri solitari mondi a sei piani. Sul tumultuoso oceano di pietra delle strade, la nave risplende delle luci di innumerevoli cabine. E naturalmente nelle cabine non ci sono abitanti: ci sono passeggeri. Come succede in nave, tutti si conoscono ma restano estranei, cittadini di una repubblica a sei piani assediata dall’oceano notturno.
I passeggeri della nave di pietra N. 40 avanzavano di sera per quella parte dell’oceano pietroburghese indicata sulle mappe col nome di via Lachtinskaja. Osip, ex usciere, adesso cittadino Malafeev, stava sulla passerella d’imbarco e attraverso gli occhiali scrutava laggiù, nelle tenebre: di tanto in tanto le onde ne portavano ancora uno, poi un altro. Il cittadino Malafeev li trascinava fuori dalle tenebre, bagnati, coperti di neve e, aggiustandosi gli occhiali sul naso, regolava a seconda del caso il grado di deferenza: il serbatoio da cui sgorgava la deferenza era collegato da un complesso meccanismo agli occhiali. Continua a leggere